Pochi se ne ricordano, ma c'è stato un tempo in
cui gli attori uscivano nelle piazze alla testa di grandi manifestazioni,
organizzavano scioperi e picchetti ed i giornali erano pieni delle loro
gesta. Non gesta di attori, divi dello spettacolo, ma di agitatori sindacali
e politici.
Quel tempo, che quasi nessuno ricorda, era appena ieri. I nomi di quegli
attori, che tutti ricordano - ma per altri motivi - sono Anna Magnani,
Gino Cervi, Vittorio De Sica, Arnoldo Foà Enrico Maria Salerno,
Marcello Mastroianni,, Vittorio Gassman, Lina Volonghi, , Gianna Piaz,
Giancarlo Sbragia, Gian Maria Volonté, Ivo Garrani, Edmonda Aldini,
Pino Caruso, Nino Manfredi, Amedeo Nazzari, Paolo Panelli, Ave Ninchi
e tutti gli altri che con loro e molto prima di loro, nel corso
di 100 anni, hanno combattuto per un principio banale ma difficile da
affermare: anche un attore è un lavoratore e, come tale, ha dei
diritti che il datore di lavoro deve rispettare.
L'attore un lavoratore? L'artista strapagato, capriccioso, circondato
dal lusso. La star che vive sui giornali, spregiudicata nell'uso della
pubblicità
un lavoratore?
Quando gli attori italiani scesero in agitazione negli anni '60 alcuni
giornali titolarono: "Scioperanti in Cadillac".
Che lavoratore sarà mai l'attore?
Ovunque e da sempre, per ogni divo consacrato ci sono migliaia di suoi
colleghi che a fatica trovano qualche scrittura in teatro o in cinema
e a stento arrivano alla fine del mese. Il lavoro nello spettacolo è
quanto di più incerto si possa immaginare e i contratti sono appena
più garantiti di quelli degli agenti dei servizi segreti. A volte
miliardari, quasi sempre miseri, perennemente affacciati sulla disoccupazione.
Co.Co.Co. , interinali, atipici, lavoratori "in affitto" : tutte
le forme del precariato moderno sembrano fotocopiate su un unico originale:
il contratto di scrittura teatrale. Quello che da più di cent'anni
tiene l'attore in equilibrio incerto sul suo palcoscenico.
Eppure gli attori, se solo si guardassero alle spalle, si accorgerebbero
di avere poco da lamentarsi. I loro antenati erano addirittura dei perseguitati.
In Svezia, agli inizi del 1500, i saltimbanchi sorpresi a recitare per
strada, potevano essere uccisi senza che l'atto costituisse reato penale.
L'assassino era tenuto a risarcire gli eredi dell'ucciso un paio di scarpe
nuove, un paio di guanti e un vitello di tre anni.
Ma neppure in seguito se la passarono bene. Altrimenti che bisogno avrebbe
avuto il giurista Enrico Rosmini, nel 1872, di scrivere: "Tutti
i cittadini godono egualmente i diritti civili e politici e persino gli
stranieri godono dei diritti civili [
] Adunque, anche gli attori
devono godere di tutti i diritti che risultano dalla legge comune"
?
E gli attori, nel frattempo, per sopravvivere si organizzavano,
costituiscono Compagnie. La più antica di cui abbiamo documenti
ufficiali è quella fondata a Padova da Giovanni Maffeo, davanti
al Notaio Fortuna, il 25 febbraio del 1545. E' una vera e propria cooperativa
il cui Statuto prevedeva già allora le soluzioni ai problemi di
sempre: l'assistenza e l'assicurazione in caso di malattia di un attore,
la divisione delle spese e la comunione degli utili, l'organizzazione
della tournée, la nomina del regista e la scelta del repertorio.
Questo carattere "autogestito" delle Compagnie si protrasse
per secoli, fino a quando, in pieno '800, lo spettacolo cominciò
a diventare un'industria. Nascevano le imprese e gli impresari, i proprietari
di catene di teatri, i distributori nazionali. Gli attori diventano dipendenti
d'impresa. Le scritture teatrali sono regolate da contratti - capestro.
Lo scritturato deve far fronte alle spese per i costumi, i viaggi, non
ha compenso per le prove, non ha riposi pagati, se si ammala può
essere licenziato in otto giorni e, se non ha successo di pubblico, l'impresario
lo caccia dalla Compagnia senza compenso. Naturalmente non esistono pensioni
di invalidità o vecchiaia. Alla fine dell'Ottocento Carlo Lotti,
protagonista della vita teatrale, scrive: "Mentre tutti i componenti
le varie classi della società fondano casse di previdenza affinché
chi vive del lavoro possa trovare aiuto nella sventura e un onorato riposo
nella vecchiaia, i soli artisti di teatro non hanno voluto provvedere
al loro avvenire".
L'appello viene finalmente raccolto. Nel 1902 la Società di
Previdenza fra gli Artisti Drammatici compie i suoi primi dieci anni
di vita. E' animata dai grandi attori del tempo; Tommaso Salvini, Adelaide
Ristori, Eleonora Duse, Ermete Novelli, Ermete Zacconi, Ernesto Rossi.
E comincia ad erogare le prime pensioni di vecchiaia e i sussidi di malattia.
Contemporaneamente anche gli attori meno affermati si organizzano. Nasce
il sindacato di impronta socialista. Dal 1903 la Lega di Miglioramento
fra gli Attori Drammatici diffonde un suo glorioso organo di stampa:
L'Argante. Vi si legge: "Lega e Contratto Unico del Teatro esistono!
L'aumento rilevante di soci è l'inizio di una nuova era, di un
risveglio salutare". E altrove: "La Lega raggiungerà
i suoi altissimi scopi il giorno in cui potrà ordinare e sostenere
un giusto sciopero".
E presto arrivano gli scioperi.
Durante la guerra del '15 -'18 la situazione degli attori si aggrava:
il pubblico diserta i teatri. Cresce invece la cinematografia. Per gli
attori è una possibilità di nuovo guadagno. Nel Contratto
Nazionale del 1917 compare una clausola sconosciuta fino ad allora:
"Il Capocomico non permetterà allo scritturato, neppure
durante il periodo di riposo non pagato, di prendere parte alla formazione
di pellicole cinematografiche".
La goccia fa traboccare il vaso. L'Argante titola: "Scritturati,
non schiavi!".
Virgilio Talli è uno dei più affermati capocomici dell'epoca.
Nel luglio del 1918 dodici attori della sua compagnia chiedono la libertà
di recitare davanti alla cinepresa, lui rifiuta. Si arriva allo scontro
fisico. E' il primo atto della ribellione. Nel 1919 viene proclamato lo
sciopero contro gli impresari. L'opinione pubblica simpatizza con gli
scritturati. In numerosi contratti del 1919 la clausola sul divieto di
lavorare al cinema, scompare.
L'ultimo grande sciopero è del 5 gennaio 1822 - sostenuto dal periodico
della neonata Confederazione dei Lavoratori dello Spettacolo: "Battaglie
Teatrali".
Il 28 ottobre 1922 ogni speranza ha fine. Durante la "marcia su Roma",
viene distrutta la sede del Teatro del Popolo, fondato da Campanozzi
alla testa della Lega dei Comuni socialisti. Le organizzazioni
sindacali degli attori vengono sciolte. L'Argante diventa organo
della nuova arte fascista.
Già nei contratti del 1923 ricompare il divieto per i teatranti
di recitare in cinema. Evidentemente gli impresari si erano schierati
dalla parte del fascismo con più efficacia degli attori.
Comincia il Ventennio, riassumibile in questa frase del Regolamento
collettivo del teatro del 1936: "La compagnia deve osservare
scrupolosamente le disposizioni della legge di Pubblica Sicurezza
.
Il capocomico è personalmente responsabile anche delle infrazioni
commesse da qualsiasi attore della sua compagnia". L'attore
torna d'un balzo ad una condizione simile a quella dettata dal Concilio
di Magonza quasi 1000 anni prima: un essere irresponsabile, pericoloso,
da tenere al guinzaglio sotto la sorveglianza dell'autorità.
E' da questa concezione dell'attore, durata vent'anni, attraverso una
guerra devastante, la divisione in due della nazione, la necessità
di compromettersi per sopravvivere, da qui dobbiamo partire per ritrovare
il nostro "lavoratore dello spettacolo" e seguirne le peripezie
nell'immediato Dopoguerra.
Nuovamente una crisi post-bellica; nuovamente l'urgenza di alzare la testa,
quando le tempeste della Storia lasciano il posto alla voglia di vita
e quindi di spettacolo. Ma il contesto è profondamente mutato:
bisogna ricostruire il cinema italiano e sostenere l'assalto delle major
americane: a Roma, il 25 febbraio 1949 si svolge la più grande
manifestazione della gente di spettacolo di tutta la storia: in decine
di migliaia marciano verso Piazza del Popolo. Alla testa del corteo, spalla
a spalla, avanzano Gino Cervi, Anna Magnani, Vittorio De Sica e il Segretario
della CGIL Giuseppe Di Vittorio. Percorrono Via del Corso. La "celere"
carica con le camionette ma non riesce a fermare i dimostranti. La grande
prova di forza costringe il governo a varare primi provvedimenti a favore
della cinematografia italiana.
1954: l'avvento della televisione muta radicalmente il sistema dello spettacolo
e il quadro delle relazioni sindacali. Il piccolo schermo svuota i cinema
e i teatri ed impiega gli attori su un set tutto nuovo, con macchine sconosciute:
le telecamere. L'attore prende coscienza di essere entrato - per dirla
con Benjamin - "nell'era della sua riproducibilità tecnica".
Il 26 febbraio 1960 nasce la Società Attori Italiani, Presidente
Cervi, con Manfredi, Mastroianni, Salerno, Foà, Sbragia e l'avvocato
Cortina. Dopo pochi mesi la SAI conta fra i suoi iscritti la maggioranza
degli attori italiani. Gassman ospita sedute oceaniche nel suo "teatro-circo".
Contratti RAI e diritti sulle riproduzioni video, contratti del teatro,
del cinema, regolamenti di palcoscenico, previdenza, minimi di paga, accesso
alla professione, diritti sindacali, censura: ecco i temi di una vertenza
che si sviluppò fra scioperi e manifestazioni per un decennio.
Mai, come negli anni '60, i protagonisti della scena furono anche protagonisti
sindacali. Cervi, Foà, Salerno, Sbragia erano tribuni capaci di
infiammare le platee, di trascinare migliaia di iscritti ad una lotta
che non fu senza prezzo: si dovette costituire un Fondo di Solidarietà
per sostenere gli attori boicottati dalle produzioni per il loro impegno
sindacale.
Nasceva nel frattempo il principio del Teatro in Cooperativa con
forte impronta civile. L'avanguardia è costituita dalla Compagnia
degli Attori Associati: ancora una volta Salerno, Sbragia, Garrani
con la Piaz, Cucciola, la Valeri, Volonté
Nel '61 il Teatro
Parioli programmò lo spettacolo Sacco e Vanzetti. Rischiò
di essere chiuso dalla polizia. A presidio accorsero Giorgio Amendola,
Sandro Pertini e il Segretario Aggiunto della CGIL Ferdinando Santi.
Nel '65 la mobilitazione della stampa non bastò a proteggere Volonté
ed il Vicario: lo spettacolo più duro sulle sospette relazioni
vaticane col nazismo. La polizia assediò la Compagnia, asserragliata
al teatrino di Via Belsiana, a Roma, per tre giorni.
Poi sarebbero arrivate le manifestazioni alla Mostra del Cinema di Venezia
del '68, le battaglie contro la crescente censura e l'ingerenza governativa
nella cinematografia. Nanni Loy, Francesco Maselli, Ugo Pirro erano fra
i più accesi, nel movimento. Nel 1973 Franca Rame è vittima
di un pestaggio fascista. La SAI proclama in tutti i teatri italiani il
Mese Antifascista dello Spettacolo. Prima di ogni rappresentazione
viene letto alla platea un documento politico di condanna. Dunque, all'agenda
sindacale si affianca quella politica. Ma le due marciano insieme perché
i provvedimenti di austerità scelti dal governo di fronte alla
crisi energetica dei primi anni '70, impongono la chiusura serale anticipata
per i locali di spettacolo. La TV manda gli italiani a letto alle 10,30.
Per i lavoratori è un nuovo durissimo colpo.
Le battaglie degli anni successivi ebbero nuovi ordini del giorno e la
Società Attori Italiani avviò nel 1979 la propria
trasformazione in Sindacato. In quegli anni si producono film e
sceneggiati TV con prevalenza di attori americani. Gli attori italiani,
utilizzati in ruoli secondari, sono costretti a recitare in inglese o
a farfugliare sequenze di numeri che al doppiaggio verranno sostituiti
dalle battute. Ancora una volta agli attori non resta che ribellarsi.
Pino Caruso, segretario del SAI, dovrà fronteggiare le Major
sulla questione del "voce-volto", della recitazione in "presa
diretta", dei finanziamenti pubblici concessi a produzioni scopertamente
straniere. La battaglia è durissima ma il Sindacato porta a casa
qualche buon risultato. Nel frattempo il cinema approfondisce la propria
crisi produttiva e di idee. Il teatro sopravvive in trincea. La nascita
delle TV commerciali costituisce una svolta ulteriore, ma su questa soglia
- che riguarda il presente della televisione ma anche del cinema e dello
spettacolo dal vivo - l'epopea degli attori si ferma per cedere il passo
ad un dibattito politico ancora tutto da costruire.
La storia della sindacalizzazione degli attori non può essere dimenticata,
anche per i suoi esiti: negativi per le numerose sconfitte subite negli
anni; ma anche positivi, per la conquista del principio che l'artista
sia un lavoratore e debba godere di diritti. Positivi soprattutto per
il riconoscimento del diritto a ricevere un compenso per le riproduzioni
audio-video, così come gli scrittori godono di diritti sulle vendite
dei loro libri. Gli attori lo rivendicarono fin dal '60, considerandosi
"autori" della propria interpretazione. Il principio è
stato recepito dalla legislazione italiana attraverso l'Istituto Mutualistico
Artisti Interpreti Esecutori (IMAIE), il 5 febbraio 1992.
Rosmini aveva scritto: "L'artista che riproduce in azione i pensieri
e gli affetti del poeta, è spesso poeta egli medesimo e crea".
Era il 1872.
Fabio Cavalli |